Precari: la protesta degli ultimi


di Vittoria Operato (Consulente Giuridico Coordinamento Regione Campania Generazione Italia)

C’era una volta il Maestro di scuola, autorevole e distante come un Dio, depositario del potere di infliggere persino punizioni corporali esemplari all’alunno indisciplinato o di scarso rendimento, senza tema di azioni disciplinari. La punizione veniva inflitta con il beneplacito del genitore, per lo più il padre, il quale, titolare unico della potestà genitoriale, non avrebbe osato discutere l’autorità indiscussa del Maestro, né tantomeno il merito della scelta dei mezzi educativi reputati più idonei. Nel corso dei decenni, si è incisa una crepa che è diventata voragine fino a minare le fondamenta stesse della scuola pubblica, cosicchè si è andata offuscando anche la dignità e la solennità che ammantavano la figura del Maestro e del Professore fino al punto di casi estremi, di attacchi violenti da parte di adolescenti alla sbaraglio che riversano, contro l’istituzione scuola, il senso di inadeguatezza verso una società che di fatto gli chiude le porte in faccia. C’è stato dunque un tempo in cui essere Maestro voleva dire ricoprire un ruolo reputato socialmente di rilievo, oggi la scuola italiana è allo sfacelo e cade a pezzi, letteralmente a pezzi. Così mentre il Paese geme, disastrato ed indebitato all’inverosimile, ed i poveri sono sempre più poveri, sullo sfondo di una lotta tra forze politiche che hanno perso il contatto con la realtà, un’intera generazione di giovani docenti, di lavoratori onesti, un esercito di disperati fatto di 200 mila persone, è pronta a tutto per tentare di salvare lo stipendio e non finire sul lastrico. Per un osservatore attento, è interessante notare come si possano cogliere nel Paese i segnali, per il momento sporadici, di un’insofferenza e di un disagio sociale profondo che partono dal basso, dai fischi a dell’Utri, e poi a Schifani fino al fumogeno lanciato contro Bonanni c’è un’altra Italia che non ne può più.

In questo quadro si colloca la protesta dei precari, che ha la faccia pulita di tanti giovani coraggiosi e di talento, con alla spalle un lungo ed inutile percorso di studi. Questi giovani sono tra quelli indicati da Fini nella piazza di Mirabello, di quelli che fa davvero male al cuore vederne i volti consumati dalle privazioni del cibo essenziale per la vita. Ma dov’è l’ Italia del precariato? Non la trovi certo in TV, perché fa notizia solo se si tenta il suicidio, eppure è una realtà che si estende a macchia d’olio, che toglie ogni diritto sociale e taglia fuori dal futuro, in un Paese schizzofrenico in cui è più facile trovare lavoro se sei ex detenuto da collocare in un programma di reinserimento.

L’Italia è un Paese di vecchi, anzi di supervecchi avidamente aggrappati ai ruoli di comando, camuffati da sempre giovani con i sapienti trucchi che la medicina estetica consente e che quando lasciano uno spiraglio aperto ai giovani lo fanno solo e se appartieni alla cerchia familiare-amicale. Eppure, a volte, persino in tali casi si può notare come si radicano sentimenti di rivalsa, cosicchè gli stessi “figli di” raccontano spesso di sentirsi schiacciati dal peso di un ascendente che non vuole saperne di allentare la presa dal potere. Non a caso al Presidente Fini, come lui stesso ammette, è stato fatto notare di “essere giovane”, nell’accezione più deteriore del termine, nel senso che trovandosi nella condizione di essere più giovane di Berlusconi, avrebbe dovuto rassegnarsi ad una lunga attesa. Ecco, questo è l’emblema che rappresenta bene la mentalità italiota corrente, la quale si è espressa attraverso scelte politiche che hanno condannato all’esilio i nostri più brillanti giovani ricercatori, che si ricostruiscono all’esterno un’identità negata in Patria. Perché, è bene capirlo, se da giovane sei considerato inutile, demansionato, rifiutato dal ciclo produttivo di un Paese in cui fa moda lo stile giovanilistico dei vecchi, che si riciclano eternamente, allora entra in discussione l’identità stessa dei nostri giovani, che si fa confusa ed incerta, mentre i modelli per le nuove generazioni di italiani, che il sultanato Berlusconi sta producendo, sono agghiaccianti.

Se si è una donna si è più fortunati perché ci si può ispirare alle gheddafine, recentissimo modello del prototipo intramontabile della Velina, le abbiamo viste sfilare robotiche ed inespressive, addestrate al silenzio, mentre scarsi sono stati i riflettori per i giovani precari della scuola, che nell’indifferenza generale, sfidano la morte con la lotta estrema dello sciopero della fame ed ai quali un’altra donna, una Gelmini in versione Crudelia De Mon, dice di arrendersi senza condizioni, in un Paese in cui da sempre persino con i rapinatori che assaltano le banche si tratta la resa. E allora, i precari si affamano, si sfiniscono perché sanno che oltre la lotta non c’è orizzonte, perchè sanno che essere precario è peggio di tutto, si deve imparare a pensare in piccolo, i pensieri si fanno striminziti e ti ricordano che non puoi osare, perché si perdono le prerogative stesse della giovane età, il desiderio di conoscenza di sé e del mondo. Una condizione da giovane “senza lavoro” si traduce in un limbo senza vie d’uscita, e rispetto a tale condizione lo sciopero della fame, quale forma pacifica di protesta, eleva questi uomini sconosciuti dalle vite comuni e tranquille al di sopra di tutti noi.


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