di Gianmario Mariniello dal sito di GenerazioneItalia

Futuro e Libertà in lieve calo, ma non scende sotto la soglia del 7%, dimostrando stabilità, forza e sostanza in un momento non facile per Gianfranco Fini e per la neonata forza politica che ancora – ricordiamolo – non si è strutturata in un partito.
Perdere solo lo 0,5 in questo momento tanto delicato, con un’aggressione mediatica e politica senza precedenti è davvero un miracolo che ci regala grande fiducia in vista delle sfide future. Aggressione, sì. Non ne siamo convinti solo noi, ma – secondo l’Osservatorio realizzato da Crespi Ricerche in esclusiva per Generazione Italia – anche il 57,4 degli italiani, che ritengono Fini vittima di una campagna diffamatoria. Campagna che non giova al premier, che perde due punti, scendendo a quota 43 e nemmeno al governo, a quota 44. La novità è che per la prima volta l’Esecutivo ha un gradimento superiore rispetto al Presidente del Consiglio.
Stabili tutte le altre forze politiche, con il Pdl al 29 e il Pd al 25,5%. L’Udc non risente delle perdite “siciliane”, essendo stabile al 6%. In aumento solo il Movimento 5 Stelle, a quota 2,5%, con un +1 in soli sette giorni.
Schizzano al 40% gli indecisi: una percentuale che cresce ogni settimana. Ed è forse questo il principale campanello d’allarme per la politica italiana.

Scarica l’Osservatorio del 28 Settembre

Per noi la vicenda della casa di Montecarlo è chiusa qui


di Generazione Italia

Intervista di Fabrizio Roncone per “Il Corriere della Sera” – ROMA – «Mi creda: per noi la vicenda della casa di Montecarlo è chiusa qui».
Onorevole Italo Bocchino, questo lo ha già detto alle agenzie di stampa.
«Non le basta? Allora le aggiungo che, per quanto ci riguarda, da un lato è un problema del signor Tulliani e dall`altro di chi ha strumentalizzato questa vicenda».
Così è piuttosto facile: in realtà, Fini ha ammesso, dopo lunghe settimane, di non essere per nulla sicuro di ciò che afferma suo cognato, Giancarlo Tulliani. Mentre lei, onorevole Bocchino…
«lo cosa?».
Lei, appena giovedì scorso, ad Annozero, da Michele Santoro, ancora sembrava piuttosto certo dell`estraneità di Tulliani.
«No no… ricorda male».
Non credo.
«E invece sì».
Mi spiace: ma ricordo bene.
«Ricorda male. Infatti quanto ho sostenuto ad Annozero è ancora validissimo».
Ne è sicuro? «Allora, io sostenevo due cose. La prima: il documento che coinvolge il signor Tulliani arrivato da Saint Lucia è frutto di un`operazione di dossieraggio, a cui ha lavorato Valter Lavitola, amico personale di Berlusconi, tanto amico da averlo accompagnato, nel giugno scorso, in Sudamerica, e da essere ricevuto poi a Palazzo Grazioli venerdì mattina, poche ore dopo il mio intervento ad Annozero».
Lei parla di dossieraggio perché è ancora convinto…
«E il punto due del mio ragionamento: intanto il documento è anomalo, irrituale. Da Saint Lucia giunge poi a un giornalista in Honduras, che lo fa avere a due giornali di Santo Domingo. I quali, pur essendo in concorrenza, pubblicano lo stesso articolo. Segnalato, in Italia, al sito Dagospia e ripreso, infine, dai giornali …».
Questa è la cronaca dei fatti, onorevole.
Ora c`è Fini che sostiene di non fidarsi del cognato.
«Senta, i dubbi possiamo averli anche noi…».
Beh, onorevole, allora scusi se insisto: però lei e Briguglio, fino all`altro pomeriggio, avete sostenuto di avere elementi solidi per dire che Tulliani fosse estraneo alla vicenda…
«Eeeh… Mi ascolti: ammesso che ci sia lui dietro le società off-shore, per me, per noi l`azione grave è quella di dossieraggio attuata per danneggiare l`immagine di Fini».
Fini ha ammesso una sua possibile «leggerezza».
«Fini, in modo anglosassone, si è assunto tutte le sue, eventuali responsabilità».
Nei Paesi anglosassoni i leader non spediscono video-messaggi.
«Ah no? E che fanno?».
I leader anglosassoni si lasciano intervistare dai giornalisti.
«Non era previsto un interrogatorio di Fini, ma un suo chiarimento. Abbiamo fatto una scelta di marketing, scegliendo lo strumento più moderno».
Perché Fini ha atteso tanto per ammettere di non essere certo dei comportamenti di Tulliani?.
«Perché non immaginava che un fatto di piccola importanza, su cui anche lui poteva già avere dei sospetti, portasse a questa violentissima offensiva mediatica da parte dei giornali che fanno riferimento a Silvio Berlusconi».
Comunque sorprende che un cognato trentenne possa risultare così ingombrante per il presidente della Camera.
«Beh, adesso, dopo tanti titoli e titoloni da guerra, è piuttosto automatico e facile pensare una cosa del genere…».
E vero che Tulliani, fino all`ultimo, nella notte tra venerdì e sabato, ha chiesto a Fini di essere coperto? «No. Assolutamente no. Lui a Fini ripeteva: “Mi chiedi la verità? E io ti dico: non sono io il proprietario di quella casa; e in più ho anche un regolare contratto di affitto”».

Parole che a Fini, comprensibilmente, non sono bastate. Quali sono, attualmente, i rapporti con il cognato? «Diciamo che Fini è molto arrabbiato con tutta la situazione».

Berlusconi, osservando il video-messaggio di Fini, avrebbe ironizzato, sostenendo che sembrava di vedere Scajola.

«Berlusconi, evidentemente, non ha saputo apprezzare il grande elemento di novità introdotto da Fini, il quale ha detto di aspettare che la magistratura faccia il suo corso, senza sostenere, a differenza di qualcun altro, che i magistrati sono pazzi o, nel migliore dei casi, corrotti».

Mercoledì prossimo, in aula, sarà dura.

«Mancano due giorni. E due giorni sono tantissimi, in una situazione di questo tipo. E una questione di numeri, no? Beh, mercoledì vedremo quali sono quelli veri, autentici».

Alcuni osservatori temono che la partita tra Fini e Berlusconi, e quindi la sopravvivenza del governo, possa volgere alle sue fasi conclusive.

«L`esito di questa partita non dipende da noi».

E da chi? «Da Berlusconi. Se va avanti con la guerra, è chiaro che crolla tutto. Se invece decide di dare ascolto a Gianni Letta…».

(L’onorevole Italo Bocchino parlava al telefonino, in viaggio tra Torino e Brescia. Per quel po` che si è potuto intuire dal tono della voce e dalla nettezza, dalla rapidità con cui rispondeva, è parso tutt`altro che in apprensione, o stanco).

Berlusconi e il potere: quando la “rivoluzione” è una mera illusione

di Angelica Stramazzi dal sito di GenerazioneItalia

Ancora il 1994 e ancora Silvio Berlusconi. Perché, inutile negarlo, ogniqualvolta che, da più parti, si manifesta la volontà di rintracciare i momenti significativi che hanno cambiato le vicende politiche del nostro Paese, l’attenzione si concentra sulla discesa in campo di quell’imprenditore lombardo così distante dai giochi di Palazzo ma al tempo stesso così pragmatico e quindi maggiormente vicino alle esigenze della popolazione.
Del resto sarebbe un errore negare che il 1994 rappresentò – e non solo per la storia politica italiana – una importante quanto netta cesura. Nel periodo precedente infatti, la politica tutta aveva operato secondo logiche divisorie e correntizie, cercando di rappresentare ogni interesse in gioco, nel tentativo di non lasciare indietro nessuno. Di sicuro, proprio a causa di questo suo vizio di forma (e di sostanza), i partiti politici osteggiavano anche la più remota ipotesi di semplificazione del quadro costituzionale, ritenendo che la concentrazione di una quantità smisurata di potere nella mani di un solo uomo potesse dar vita a quelle pericolose degenerazioni che l’Italia aveva già ampiamente sperimentato e vissuto. Per questo, il nostro Paese non ha mai operato – come ad esempio ha fatto la Francia – una profonda e senza dubbio necessaria revisione di quel dettato costituzionale che del buon funzionamento dei poteri dovrebbe essere l’architrave e il principale punto di riferimento.
Cosa resta oggi di quell’operazione di restyling che l’attuale Presidente del Consiglio propose per il bene del paese e della politica nel suo complesso? Che fine ha fatto quella spinta propulsiva, riformatrice e liberale che della svolta del ’94 rappresentò il vero punto di rottura rispetto al passato? Berlusconi, come ricorda in modo puntuale Angelo Panebianco sul Corriere di oggi, avvalendosi di strumenti quali la ricchezza personale, il carisma e le televisioni, “diede la falsa impressione che un processo irreversibile di ricomposizione fosse in atto. Ma era solo un’apparenza, un’illusione. Che si dissolverà del tutto quando Berlusconi uscirà di scena”. Un’illusione, una falsa verità insomma. Una volontà apparente di cambiamento che, in fondo, nascondeva la necessità di far sì che tutto restasse immutato, ingessato, incancrenito.
Di quella “novità” oggi non resta pressoché nulla, se non qualche promotore stanco e deluso di cantare le lodi di un Salvatore che non c’è, perché troppo indaffarato a fornire indicazioni per la preparazione di dossier costruiti ad hoc per screditare l’avversario che disturba, che chiede di parlare e di trasformare in azioni concrete quelle promesse che, da 17 anni, giacciono dimenticate in un cassetto.

Montecarlo: la verità di Fini


Purtroppo da qualche tempo lo spettacolo offerto dalla politica è semplicemente deprimente.

Da settimane non si parla dei tanti problemi degli italiani, ma quasi unicamente della furibonda lotta interna al centrodestra.

Da quando il 29 luglio sono stato di fatto espulso dal Popolo della libertà con accuse risibili, tra cui spicca quella di essere in combutta con le procure per far cadere il governo Berlusconi, è partita una ossessiva campagna politico giornalistica per costringermi alle dimissioni da Presidente della Camera, essendo a tutti noto che non è possibile alcuna forma di sfiducia parlamentare.

Evidentemente a qualcuno dà fastidio che da destra si parli di cultura della legalità, di legge uguale per tutti, di garantismo che non può essere impunità, di riforma della giustizia per i cittadini e non per risolvere problemi personali.

In 27 anni di Parlamento e 20 alla guida del mio partito non sono mai stato sfiorato da sospetti di illeciti e non ho mai ricevuto nemmeno un semplice avviso di garanzia.

Credo di essere tra i pochi, se non l’unico, visto le tante bufere giudiziarie che hanno investito la politica in questi anni.

E’ evidente che se fossi stato coinvolto in un bello scandalo mi sarebbe stato più difficile chiedere alla politica di darsi un codice etico e sarebbe stato più credibile chiedere le mie dimissioni.

Così deve averla pensata qualcuno, ad esempio chi auspicava il metodo Boffo nei miei confronti, oppure chi mi consigliava dalle colonne del giornale della famiglia Berlusconi di rientrare nei ranghi se non volevo che spuntasse qualche dossier – testuale – anche su di me, “perchè oggi tocca al Premier, domani potrebbe toccare al Presidente della Camera”. Profezia o minaccia?

Puntualmente, dopo un po’, è scoppiato l’affare Montecarlo.

So di dovere agli italiani, e non solo a chi mi ha sempre dato fiducia, la massima chiarezza e trasparenza al riguardo.

I fatti:

An, nel tempo, ha ereditato una serie di immobili. Tra questi, nel 1999, la famosa casa di Montecarlo, che non è una reggia anche se sta in un Principato, 50-55 metri quadrati, valore stimato circa 230 mila euro. Essendo in condizioni quasi fatiscenti e del tutto inutilizzabile per l’attività del Partito, l’11 luglio 2008 è stata venduta alla Società Printemps, segnalatami da Giancarlo Tulliani. L’atto è stato firmato dal Segretario amministrativo, senatore Pontone da me delegato, un autentico galantuomo che per 20 anni ha gestito impeccabilmente il patrimonio del partito, e dai signori Izelaar e Walfenzao.

Il prezzo della vendita, 300 mila euro, è stato oggetto di buona parte del tormentone estivo. Dai miei uffici fu considerato adeguato perchè superava del 30 per cento il valore stimato dalla società immobiliare monegasca che amministra l’intero condominio.

Si poteva spuntare un prezzo più alto? E’ possibile. E’ stata una leggerezza? Forse. In ogni caso, poichè la Procura di Roma ha doverosamente aperto una indagine contro ignoti, a seguito di una denunzia di due avversari politici e poichè, a differenza di altri, non strillo contro la magistratura, attendo con fiducia l’esito delle indagini.

Come ho già avuto modo di chiarire, solo dopo la vendita ho saputo che in quella casa viveva il Signor Giancarlo Tulliani.
Il fatto mi ha provocato un’arrabbiatura colossale, anche se egli mi ha detto che pagava un regolare contratto d’affitto e che aveva sostenuto le spese di ristrutturazione.
Non potevo certo costringerlo ad andarsene, ma certo gliel’ho chiesto e con toni tutt’altro che garbati. Spero lo faccia, se non fosse altro che per restituire un po’ di serenità alla mia famiglia.

E’ stato scritto: ma perchè venderla ad una società off shore, cioè residente a Santa Lucia, un cosiddetto paradiso fiscale? Obiezione sensata, ma a Montecarlo le off shore sono la regola e non l’eccezione.

E sia ben chiaro, personalmente non ho nè denaro, nè barche nè ville intestate a società off shore, a differenza di altri che hanno usato, e usano, queste società per meglio tutelare i loro patrimoni familiari o aziendali e per pagare meno tasse.

Ho sbagliato? Con il senno di poi mi devo rimproverare una certa ingenuità. Ma, sia ben chiaro: non è stato commesso alcun tipo di reato, non è stato arrecato alcun danno a nessuno. E, sia ancor più chiaro, in questa vicenda non è coinvolta l’amministrazione della cosa pubblica o il denaro del contribuente. Non ci sono appalti o tangenti, non c’è corruzione nè concussione.

Tutto qui? Per quel che ne so tutto qui.
Certo anche io mi chiedo, e ne ho pieno diritto visto il putiferio che mi è stato scatenato addosso, chi è il vero proprietario della casa di Montecarlo?
E’ Giancarlo Tulliani, come tanti pensano? Non lo so. Gliel’ho chiesto con insistenza: egli ha sempre negato con forza, pubblicamente e in privato. Restano i dubbi? Certamente, anche a me. E se dovesse emergere con certezza che Tulliani è il proprietario e che la mia buona fede è stata tradita, non esiterei a lasciare la Presidenza della Camera.
Non per personali responsabilità – che non ci sono – bensì perchè la mia etica pubblica me lo imporrebbe.

Di certo, in questa brutta storia di pagine oscure ce ne sono tante, troppe. Un affare privato è diventato un affare di Stato per la ossessiva campagna politico-mediatica di delegittimazione della mia persona: la campagna si è avvalsa di illazioni, insinuazioni, calunnie propalate da giornali di centrodestra e alimentate da personaggi torbidi e squalificati.
Non penso ai nostri servizi di intelligence, la cui lealtà istituzionale è fuori discussione, al pari della stima che nutro nei confronti del Sottosegretario Letta e del Prefetto De Gennaro.

Penso alla trama da film giallo di terz’ordine che ha visto spuntare su siti dominicani la lettera di un Ministro di Santa Lucia, diffusa da un giornalista ecuadoregno, rilanciata in Italia da un sito di gossip a seguito delle improbabili segnalazioni di attenti lettori.

Penso a faccendieri professionisti, a spasso nel Centro America da settimane (a proposito, chi paga le spese?) per trovare la prova regina della mia presunta colpa. Penso alla lettera che riservatamente, salvo finire in mondovisione, il Ministro della Giustizia di Santa Lucia ha scritto al suo Premier perchè preoccupato del buon nome del paese per la presenza di società off shore coinvolte non in traffici d’armi, di droga, di valuta, ma di una pericolosissima compravendita di un piccolo appartamento a Montecarlo.

Ma, detto con amarezza tutto questo, torniamo alle cose serie. La libertà di informazione è il caposaldo di una società aperta e democratica. Ma proprio per questo, giornali e televisioni non possono diventare strumenti di parte, usati non per dare notizie e fornire commenti, ma per colpire a qualunque costo l’avversario politico. Quando si scivola su questa china, le notizie non sono più il fine ma il mezzo, il manganello. E quando le notizie non ci sono, le si inventano a proprio uso e consumo. Così, con le insinuazioni, con le calunnie, con i dossier, con la politica ridotta ad una lotta senza esclusione di colpi per eliminare l’avversario si distrugge la democrazia. Si mette a repentaglio il futuro della libertà. Chi ha irresponsabilmente alimentato questo gioco al massacro si fermi, fermiamoci tutti prima che sia troppo tardi. Fermiamoci pensando al futuro del paese. Riprendiamo il confronto: duro, come è giusto che sia, ma civile e corretto.
Gli italiani si attendano che la legislatura continui per affrontare i problemi e rendere migliore la loro vita. Mi auguro che tutti, a partire dal Presidente del Consiglio, siano dello stesso avviso. Se così non sara’ gli italiani sapranno giudicare. E per quel che mi riguarda ho certamente la coscienza a posto.

Precari: la protesta degli ultimi


di Vittoria Operato (Consulente Giuridico Coordinamento Regione Campania Generazione Italia)

C’era una volta il Maestro di scuola, autorevole e distante come un Dio, depositario del potere di infliggere persino punizioni corporali esemplari all’alunno indisciplinato o di scarso rendimento, senza tema di azioni disciplinari. La punizione veniva inflitta con il beneplacito del genitore, per lo più il padre, il quale, titolare unico della potestà genitoriale, non avrebbe osato discutere l’autorità indiscussa del Maestro, né tantomeno il merito della scelta dei mezzi educativi reputati più idonei. Nel corso dei decenni, si è incisa una crepa che è diventata voragine fino a minare le fondamenta stesse della scuola pubblica, cosicchè si è andata offuscando anche la dignità e la solennità che ammantavano la figura del Maestro e del Professore fino al punto di casi estremi, di attacchi violenti da parte di adolescenti alla sbaraglio che riversano, contro l’istituzione scuola, il senso di inadeguatezza verso una società che di fatto gli chiude le porte in faccia. C’è stato dunque un tempo in cui essere Maestro voleva dire ricoprire un ruolo reputato socialmente di rilievo, oggi la scuola italiana è allo sfacelo e cade a pezzi, letteralmente a pezzi. Così mentre il Paese geme, disastrato ed indebitato all’inverosimile, ed i poveri sono sempre più poveri, sullo sfondo di una lotta tra forze politiche che hanno perso il contatto con la realtà, un’intera generazione di giovani docenti, di lavoratori onesti, un esercito di disperati fatto di 200 mila persone, è pronta a tutto per tentare di salvare lo stipendio e non finire sul lastrico. Per un osservatore attento, è interessante notare come si possano cogliere nel Paese i segnali, per il momento sporadici, di un’insofferenza e di un disagio sociale profondo che partono dal basso, dai fischi a dell’Utri, e poi a Schifani fino al fumogeno lanciato contro Bonanni c’è un’altra Italia che non ne può più.

In questo quadro si colloca la protesta dei precari, che ha la faccia pulita di tanti giovani coraggiosi e di talento, con alla spalle un lungo ed inutile percorso di studi. Questi giovani sono tra quelli indicati da Fini nella piazza di Mirabello, di quelli che fa davvero male al cuore vederne i volti consumati dalle privazioni del cibo essenziale per la vita. Ma dov’è l’ Italia del precariato? Non la trovi certo in TV, perché fa notizia solo se si tenta il suicidio, eppure è una realtà che si estende a macchia d’olio, che toglie ogni diritto sociale e taglia fuori dal futuro, in un Paese schizzofrenico in cui è più facile trovare lavoro se sei ex detenuto da collocare in un programma di reinserimento.

L’Italia è un Paese di vecchi, anzi di supervecchi avidamente aggrappati ai ruoli di comando, camuffati da sempre giovani con i sapienti trucchi che la medicina estetica consente e che quando lasciano uno spiraglio aperto ai giovani lo fanno solo e se appartieni alla cerchia familiare-amicale. Eppure, a volte, persino in tali casi si può notare come si radicano sentimenti di rivalsa, cosicchè gli stessi “figli di” raccontano spesso di sentirsi schiacciati dal peso di un ascendente che non vuole saperne di allentare la presa dal potere. Non a caso al Presidente Fini, come lui stesso ammette, è stato fatto notare di “essere giovane”, nell’accezione più deteriore del termine, nel senso che trovandosi nella condizione di essere più giovane di Berlusconi, avrebbe dovuto rassegnarsi ad una lunga attesa. Ecco, questo è l’emblema che rappresenta bene la mentalità italiota corrente, la quale si è espressa attraverso scelte politiche che hanno condannato all’esilio i nostri più brillanti giovani ricercatori, che si ricostruiscono all’esterno un’identità negata in Patria. Perché, è bene capirlo, se da giovane sei considerato inutile, demansionato, rifiutato dal ciclo produttivo di un Paese in cui fa moda lo stile giovanilistico dei vecchi, che si riciclano eternamente, allora entra in discussione l’identità stessa dei nostri giovani, che si fa confusa ed incerta, mentre i modelli per le nuove generazioni di italiani, che il sultanato Berlusconi sta producendo, sono agghiaccianti.

Se si è una donna si è più fortunati perché ci si può ispirare alle gheddafine, recentissimo modello del prototipo intramontabile della Velina, le abbiamo viste sfilare robotiche ed inespressive, addestrate al silenzio, mentre scarsi sono stati i riflettori per i giovani precari della scuola, che nell’indifferenza generale, sfidano la morte con la lotta estrema dello sciopero della fame ed ai quali un’altra donna, una Gelmini in versione Crudelia De Mon, dice di arrendersi senza condizioni, in un Paese in cui da sempre persino con i rapinatori che assaltano le banche si tratta la resa. E allora, i precari si affamano, si sfiniscono perché sanno che oltre la lotta non c’è orizzonte, perchè sanno che essere precario è peggio di tutto, si deve imparare a pensare in piccolo, i pensieri si fanno striminziti e ti ricordano che non puoi osare, perché si perdono le prerogative stesse della giovane età, il desiderio di conoscenza di sé e del mondo. Una condizione da giovane “senza lavoro” si traduce in un limbo senza vie d’uscita, e rispetto a tale condizione lo sciopero della fame, quale forma pacifica di protesta, eleva questi uomini sconosciuti dalle vite comuni e tranquille al di sopra di tutti noi.


“Se il cambiamento di Gianfranco Fini siete voi, io m’iscrivo”

di Adriano Falanga

“Diamogli l’impunità, la grazia e la benedizione, ma togliamocelo dalle (scatole)”, a dirlo è Angelo, si definisce vecchio militante del MSI. Sono da poco passate le 9, abbiamo appena tirato su il gazebo. Angelo ci osservava. E’ stato il primo cittadino ad avvicinarci, due battute, quelle riportate sopra, poi prende un volantino e si siede al tavolino del bar vicino.
Le ragazze con i volantini iniziano a girare per la piazza, distribuiscono e sorridono. qualcuno chiede informazioni, loro indicano il gazebo. Lentamente la piazza, piazza Flavio Gioia, si anima. E’ puntuale la vigilessa che con estremo garbo, quasi timidezza, ci dice “sono sicura che è così, ma devo chiedervelo, posso vedere l’autorizzazione”? Ovviamente si. Ci sorride, scruta i manifesti e ci saluta. Bene, è andata, la giornata è iniziata.

Pian piano ci raggiungono gli altri amici, iscritti, ognuno di loro lo vedo parlare con qualcuno. Mi stupisco quando mi rendo conto che i complimenti della gente sono decisamente abbondanti. Pensavamo a qualche critica, m’ero preparato mentalmente due frasi per affrontare la solita domanda “ma prima non ve n’eravate accorti”? Invece no, la gente ci sorride, si complimenta con noi per la scelta fatta da Futuro e Libertà. Ci chiedono di Mirabello, sono felici del discorso dettagliato del nostro presidente Fini. Qualcuno azzarda “vi ho visto in tv!”, (ed io penso, meno male che m’ero sbarbato). Qualcuno più interessato ci chiede lumi sui progetti futuri, a Salerno in primavera ci sono le amministrative, vogliono anticipazioni sulle scelte locali dei “finiani”.

Passa qualche ora, è davvero sorprendente girarsi attorno e notare che sono presenti i ragazzi dei circoli della provincia, ci sono i membri dell’esecutivo provinciale. Ma la gioia è enorme quando t’accorgi che in molti, in tanti, hanno raccolto l’invito da Facebook e sono venuti apposta dalle città della provincia. Oggi a Salerno volevamo distribuire volantini, testare le primissime reazioni.

Pazzesco quando qualcuno mi chiede “per le offerte dove?”… No, nessuna offerta, grazie! “Allora mi iscrivo”!

Bene, benissimo, eravamo venuti per i volantini, ed in tre ore, alla prima uscita pubblica, abbiamo raccolto diverse iscrizioni. Spontanee! Già, spontanee come tutti noi presenti, perchè il fine è comune, pardon, il Fini è comune. L’obiettivo è il Futuro, il desiderio è Libertà.

Tra un caffè, altre iscrizioni, volantini, chiacchierate, proposte, il tempo è volato. Peccato, oramai ci eravamo abituati. Qualcuno è andato via, ma facciamo in tempo a scattare la foto per la stampa.

Abbiamo raccolto proposte, consigli, siamo rimasti davvero stupiti dalla cordialità della gente, ci rendiamo conto che volendo, si può riavvicinarli alla politica. Perchè vedete, non è vero che in Italia la gente non crede più alla politica, non è neanche vero che è sfiduciata, in realtà questa nostra gente non ha più occasioni di confronto, non può più parlare. Oramai stava passando l’immagine della politica fatta nei palazzi.

Siamo soddisfatti, iniziamo a smontare il gazebo, facciamo attenzione al cimelio, cioè il tricolore di Mirabello. Due battute tra di noi per pianificare la prossima iniziativa quando una voce ci chiede di aspettare, di non spegnere il pc. Ci voltiamo, è Angelo, il signore di stamattina, quello incazzato con “lui”. E’ stato seduto ad osservarci tutto il tempo. Stamattina era imbronciato, ora ci sorride.

Ci tende la mano e dice “Se il cambiamento di Gianfranco Fini siete voi, io m’iscrivo”.

Bene, volevamo distribuire volantini, abbiamo raccolto iscrizioni. Già, noi possiamo essere il cambiamento, noi ci crediamo, faremo in modo, questo è il nostro impegno, che anche voi possiate crederci.

Se la colpa di Fini è aver parlato di Legalità…


Riportiamo un interessante articolo di Giuseppe Valditara dal sito di GenerazioneItalia

Una delle differenze più rilevanti fra prima e seconda repubblica è la diversa valutazione dei comportamenti etici della politica. E’ opinione diffusa che nella prima repubblica la corruzione servisse soprattutto per arricchire i partiti di riferimento, lasciando peraltro nelle tasche dei politici avanzi non di poco conto. Oggi, essendo i partiti strutture più leggere, la corruzione è esclusivamente a favore del singolo. Questa differenza, di per sè non marginale, è senz’altro di minor rilievo rispetto ad un’altra. Nella prima repubblica ogni politico, anche il più corrotto, si sentiva in dovere di condannare il malaffare. Nessun democristiano, nessun socialista, anche il più compromesso in vicende affaristiche, avrebbe mai difeso in pubblico i corrotti, nè avrebbe mai dichiarato che non devono essere cacciati dalla politica. Questo atteggiamento psicologico, che ad alcuni sembrerà ipocrita, aveva però la importante conseguenza che la corruzione era pubblicamente disprezzata, che nessuno avrebbe mai potuto prendere esempio da un corrotto, e che dunque il senso etico era salvaguardato. Naturale conseguenza di ciò furono le dimissioni di massa di centinaia di politici coinvolti in Tangentopoli. Va detto che, tranne forse poche eccezioni, quei politici non furono vittime di una persecuzione giudiziaria e tuttavia ebbero il merito di sentirsi in dovere di dimettersi, in molti casi addirittura al semplice arrivo di un avviso di garanzia. I politici condannati sparirono quasi tutti dalla scena, l’eccezione più nota è, per paradosso, quella di Umberto Bossi. Oggi, caso unico fra le democrazie occidentali, in Italia una condanna penale non è mai causa di dimissioni, anzi più si è inquisiti e più si acquisiscono meriti e si ricevono nuovi incarichi. D’altro canto nella prima repubblica a nessuno passò per la testa di cambiare le leggi per salvare una intera classe dirigente, che, sia detto per inciso, aveva rovinato, non meno di certo sindacato, i conti dello Stato e l’efficienza della nostra pubblica amministrazione. Nemmeno un caso Brancher sarebbe mai stato possibile nella cosiddetta prima repubblica. Parallelamente, anche la coscienza popolare sembra oggi più rilassata o quanto meno più rassegnata. Questa involuzione etica trova nelle vicende degli ultimi mesi una singolare conferma. Molti autorevoli politici ebbero a commentare il caso Scajola in modo assai singolare: la colpa maggiore del ministro sarebbe stata quella di non essere stato sufficientemente “furbo”. E’ egualmente singolare che gli attacchi al presidente della Camera abbiano spesso un comune fondamento: non gli viene perdonato di aver parlato di legalità, di aver fatto il “moralista”, di aver detto che un politico non deve farsi corrompere, che deve guardare all’interesse generale della nazione. E’ il messaggio politico di Fini che ha infastidito così tanto coloro che erano riusciti ad addormentare le coscienze della gran parte degli italiani, coloro che ritengono che la morale sia un inutile e ipocrita impiccio. E’ proprio quel messaggio politico, volto a ridare al centrodestra la cultura della legalità e del rispetto delle regole, che tutte le persone per bene devono aver il coraggio di non lasciar cadere nel vuoto.

Festa Tricolore “Futuro e Libertà” di Torino


16 – 19 settembre
FESTA TRICOLORE Torino 16-17-18-19 Settembre 2010
Dehors estivo “ Perù” – Strada San Mauro 123- Torino

Programma della Festa:
16 settembre 2010
ore 17,30 Apertura della Festa
ore 18,00 Intervento On. Cristiana MUSCARDINI (Europarlamentare)
ore 19,00 Dibattito su “ Il superamento delle ideologie”
On. Fabio GRANATA, Prof. Sergio RODA (Vicerettore Università di Torino), modera Prof. Daniela SANTUS.
Ore 20,30 Cena Tricolore
Ore 21,30 Spettacolo Musicale

17 settembre 2010
ore 18,00 Dibattito su “ Europa e coesione Nazionale”
On. Salvatore TATARELLA (europarlamentare)
ore 19,00 Dibattito su “ Fisco e Attività Produttive”
On. Enzo RAISI, Sen. Giuseppe MENARDI
Ore 21,30 Spettacolo Musicale

18 settembre 2010
ore 18,00 Intervento On. Silvano MOFFA su “ Futuro e Liberta”
Ore 20,30 Cena Tricolore
Ore 21,30 Spettacolo Musicale

19 settembre 2010
ore 11,00 Incontro con Amministratori Locali
On Adolfo Urso, On. Maria Grazia Siliquini, Sen. Giuseppe MENARDI
Ore 12,30 Pranzo TRICOLORE
Ore 20,30 Cena Tricolore
Ore 21,30 Spettacolo Musicale ed esibizione dei Campioni del Mondo di Ballo Caraibico

Il profumo della libertà. E dell’alternativa


Dal sito di GenerazioneItalia di Gregorio Esposito

La condizione nazionale che avvolge il paese in questo contesto storico è senza dubbio sconcertante. In natura, un fenomeno del genere è visibile solo quando alle annunziate catastrofi naturali che possono colpire la nostra esistenza si accompagnano strane danze propiziatorie che sugli alti rami di maestosi arbusti inducono una strana tribù di scimmie allo sconvolgente movimento di tutta la foresta. Esse si agitano, urlano quasi a voler attirare l’attenzione di chissà quale fantomatica creatura salvatrice, e, mentre le ruspe dell’immoralità e dell’ illegalità travolgono e sradicano ogni assetto istituzionale di questo paese, la parte sana continua a lottare cercando di preservare tutto ciò che di buono è rimasto, evitando (in nome di un “buon senso” condiviso) di rimanere invano appesi ad un sottile ed inutile ramo di ginepro. Danzano le scimmie, non è chiaro se per protesta o per chissà quale previsione che, nel passaggio tra i rami secchi di questa democrazia sui generis, ne anticipa un prevedibile ed ulteriore dramma. Si scaccia l’intruso facendolo passare per estraneo perché dal cerchio ostile della sudditanza inconsapevole che disegna questa giungla ha tentato di preservare la propria coscienza in nome di una democrazia ancora viva e vitale. Le code di queste scimmie che sicure di esser ben ancorate ai rami secchi di una maggioranza caratterizzata da vuoti tronconi consenzienti, vacillano perché oggi ne intravedono una fine certa. Esse odono ormai il grido di chi per troppo tempo censurato politicamente ha trovato la forza per rappresentare i cittadini partendo da un sano dialogo politico che (almeno per una volta) mira al benessere del paese. Un’alternativa politica oggi c’è e si apre all’orizzonte di questa foresta abitata non già da creature pericolose come è facile pensare, ma, da un malcostume sociale che invece le governa. Una nuova generazione scendendo dai rami secchi di queste illusorie libertà ha iniziato la sua danza animandola di consensi che segnano la svolta politica. L’alternativa la costruiamo noi giorno per giorno, iscritto dopo iscritto, prendendo le distanze da quella tribù di scimmie che non ha mai smesso di danzare al passo pesante del signore della giungla. Un’ alternativa è ora possibile perché concretamente nell’aria ne sentiamo il profumo, e, mentre le piogge acide dell’avvelenata ingiustizia continuano e bagnano la morbida terra su cui oggi camminiamo, sugli alberi della speranza si coltivano i sogni di un orizzonte più chiaro per tutti e sicuramente meno inquinato di quello attuale. Vorremmo incontrare ancora una volta quella libertà che per la vita conduce l’uomo, ma, per essa, lo induce a costruire un futuro migliore.