Radere al suolo Tor Bella Monaca


Proposta choc a Cortina. Ma su Corviale il sindaco boccia l'idea di Buontempo di demolire il serpentone

ROMA - La nuova proposta choc di Gianni Alemanno è arrivata dalle Dolomiti. E cioè dallo stesso palco della manifestazione Cortina Incontra, dove appena una settimana fa aveva lanciato l’idea, poi contestata anche da una parte del centrodestra, di tassare i cortei che attraversano la Capitale. Stavolta il sindaco ha cambiato argomento: «Vogliamo demolire Tor Bella Monaca», ha detto. Un’annuncio che non mancherà di scatenare polemiche. E che per adesso ha scatenato sorpresa e stupore, ma anche ironia: «Ma come? Appena eletto ha detto che voleva spostare la teca di Meier dell’Ara Pacis a Tor Bella Monaca? Adesso vuole buttare giù il quartiere? Non ha le idee molto chiare», hanno scherzato dal centrosinistra.

Il progetto Alemanno vorrebbe trovare dei terreni vicino a Tor Bella Monaca per costruire nuove abitazioni Nella foto a sinistra, Teodoro Buontempo, assessore regionale alla Casa Come riferisce l’agenzia di stampa Omniroma, il sindaco stava partecipando al dibattito «Estetica della città», quando il moderatore gli ha chiesto su quale parte di Roma si potrebbe intervenire con un drastico intervento di riqualificazione. E Alemanno, dopo averci pensato qualche secondo, ha risposto: «Sicuramente Tor Bella Monaca va demolita, rasa al suolo, non tanto Corviale, che è un altro discorso. A Tor Bella Monaca ci sono case costruite con un sistema di prefabbricazione in cui piove dentro», ha detto. E poi: «Se abbiamo terreni e aree per costruire affianco un nuovo quartiere a Tor Bella Monaca per permettere alle persone che lì abitano di spostarsi, sarebbe una scelta popolare. Chi vive dentro quelle case non vive bene e vorrebbe spostarsi».

Alemanno prima dell’annuncio choc ha affermato che «oggi con le ultime sentenze della Corte Costituzionale espropriare costa troppo. Siamo passati dall'assoluta massificazione degli anni passati a meccanismi oggi troppo restrittivi: è necessaria una nuova legge urbanistica complessiva che consenta di costruire dove c'è bisogno e non solo dove c'è interesse di privato e di società immobiliari, se no continueremo ad avere città che si espandono in zona agricola. È necessario invece demolire e ricostruire ampie aree della città, recuperando anche terreno urbano». E ancora: «A Roma ci sono molte aree delle 167 che sono autentiche cisti urbane, penso al Tiburtino 3 e altre zone». Come appunto Tor Bella Monaca.

L’idea di Alemanno, che per adesso non sembra supportata da progetti concreti di intervento, rischia di aprire un nuovo fronte di polemica interno al centrodestra. Teodoro Buontempo, grintoso assessore regionale alla Casa nella giunta guidata da Renata Polverini, appena insediato ha illustrato come uno degli obiettivi programmatici l’abbattimento del «serpentone» di Corviale e la ricostruzione di nuovo unità residenziali per gli abitanti della zona. Un progetto chiaramente in contrasto con l’idea appena annunciata dal sindaco, che ha invece escluso proprio l’abbattimento di Corviale.

L’ultimo saluto di Francesco Cossiga all’Italia – La lettera a Fini


Pubblichiamo la lettera che il Presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, prima di morire, ha stabilito che venisse inviata al presidente della Camera, Gianfranco Fini.

“Signor Presidente, nel momento in cui nella fede cristiana lascio questa vita, il mio pensiero va alla Camera dei deputati, nella quale, per voto del popolo sardo, entrai nel 1958 e fui confermato fino al 1983, anno in cui fui eletto senatore. Fu per me un grandissimo e distinto privilegio far parte del Parlamento nazionale e servire in esso il Popolo, sovrano della nostra Repubblica. Professo la mia fede repubblicana e democratica, da liberaldemocratico, cristianodemocratico, autonomista-riformista per uno Stato costituzionale e di diritto. Professo la mia fede nel Parlamento espressione rappresentativa della sovranità popolare, che è la volontà dei cittadini che nessun limite ha se non nella legge naturale, nei principi democratici, nella tutela delle minoranze religiose, nazionali, linguistiche e politiche. Ringrazio i parlamentari tutti per il concorso che in tutti questi anni hanno dato con l’adesione o con l’opposizione, con l’approvazione o con la critica alla mia opera di politica. A tutti i deputati e a Lei, Signor Presidente, l’augurio di un impegnato lavoro al servizio della libertà, della pace, del progresso del popolo italiano. Dio protegga l’Italia. Con cordiale amicizia, Francesco Cossiga”.

Addio Presidente…


Riportiamo dal sito di giovani.generazioneitalia.it un articolo che ricorda il Presidente Cossiga.

Se n’è andato anche lui. Nel primo pomeriggio di oggi ci ha lasciato il presidente emerito della Repubblica, il senatore a vita Francesco Cossiga, da tempo ricoverato per un grave malore al policlinico Gemelli di Roma. Nato a Sassari 82 anni fa, ebbe fin da giovane una rampante carriera politica all’interno della Democrazia Cristiana. L’appellativo di picconatore gli viene da quando, presidente della Repubblica sul finire degli anni ’80, dichiarò in un’intervista televisiva di voler dare delle picconate al sistema politico, che a breve sarebbe stato coinvolto nei torbidi scandali di tangentopoli. Ma la fermezza, a volte anche controversa, fu senz’altro uno dei tratti peculiari della sua carriera politica, fin dai tempi delle rivolte studentesche del ’77, che spense, da ministro dell’interno con l’utilizzo delle forze dell’ordine – di cui fu un grande innovatore, creando i corpi speciali dei NOCS e del GIS – continuando per tangentopoli e sul caso Moro. Tuttavia quando Moro venne ucciso, Cossiga si pentì della linea dura e si dimise dal suo incarico. Uomo con tante luci, ma anche tante ombre, controverso come solo i grandi personaggi della politica riescono ad essere, non fuggì mai dai processi, e ogniqualvolta ci fosse una qualche responsabilità da prendersi, non si nascose mai. Titolare di due governi, ministro e sottosegretario, la sua figura, insieme a quella del compagno-rivale Giulio Andreotti, corre parallela alla storia della nostra nazione dal dopoguerra ad oggi, sopravvivendo al crollo della prima repubblica. Pur avendo contribuito molto alle fondamenta culturali del centrodestra italiano, nutrì una spiccata simpatia per il suo predecessore al Quirinale Sandro Pertini e per Massimo D’Alema, ed era lontano parente del rivale Enrico Berlinguer. Alla sfaldatura della DC e alla caduta del primo governo Prodi, il suo contributo alla creazione del governo D’Alema fu fondamentale. Curioso ricordare che, ironizzando sulla leggenda del cannibalismo comunista, regalò al novello presidente del consiglio un bambino di zucchero. Una mente fina, la sua, fatta di precoci successi scolastici – maturità a 16 anni e laurea già a 19 – e di quelle battute lapidarie e sagaci tipiche dei membri della Democrazia Cristiana. Questa precocità dovrebbe spronare i giovani che fanno politica a impegnarsi, dal momento che fu il più giovane sottosegretario, ministro, presidente del Senato e della Repubblica della storia. Un personaggio che verrà ricordato a lungo nella storia della politica italiana ed europea, Errori riconosciuti, altri no, l’amarezza e la sofferenza che solo la politica possono portare, ma anche tanto orgoglio, tanto talento e tanto lavoro duro, e soprattutto, tante picconate. Questo era Francesco Cossiga. Della sua figura si discuta pure, ma non oggi. Oggi se ne va un pezzo della nostra Repubblica.

Il ruolo storico di Gianfranco Fini


di Gianluca Sadun Bordoni

La crisi che si è aperta nel centro-destra ha una portata, e avrà delle conseguenze, più radicali di tutte quelle che l’hanno preceduta. Ogni paragone, anche quello con la rottura tra Berlusconi e Bossi nel ’94, è improprio, e non aiuta a comprendere lo scenario che ora si apre. La differenza fondamentale è che ora siamo alla fine, non all’inizio, del ciclo politico berlusconiano. Il che non significa sottovalutare le residue energie politiche di Berlusconi, ma l’accelerazione della crisi e la durezza dello strappo indicano che egli ha compreso che il tempo, ormai, lavora contro di lui. Gli indizi, del resto, andavano moltiplicandosi. I segni dello smottamento interno al Pdl erano ormai numerosi, al di là di Fini, al centro come in periferia. La crisi economica ha imposto una manovra impopolare, e ha sepolto qualsiasi velleità di riforme fiscali. Lo stesso cammino del federalismo – e quindi il rapporto con la Lega – appare irto di difficoltà impreviste. L’assedio delle procure non cessa, e l’appello al garantismo – caso Scaiola docet – appare spesso insufficiente. Alle grandi riforme ormai non crede più nessuno, nemmeno Berlusconi. Ora siamo al paradosso che si oscilla tra l’annuncio di grandi progetti di riforme costituzionali e l’ipotesi esplicita del voto anticipato! E proprio qui sta il punto. Siamo tra coloro che credono che Berlusconi punti al voto anticipato. Crediamo ciò sulla base di un ragionamento elementare: se Berlusconi ha deciso di rompere, in modo così plateale ed illiberale, con Fini, è perché non intendeva più tollerare quello che a lui appariva come un logoramento continuo della sua immagine di leader incontrastato, di dominus senza rivali del centro-destra. Il progetto del Pdl, come evidentemente lo intende Berlusconi, doveva significare il passaggio dalla ‘casa’ delle libertà, della quale egli era leader ma non padrone, al ‘popolo’ della libertà, di cui viceversa Berlusconi si considera il fiduciario assoluto (se non proprio il padrone). Troppi, invece, erano ormai i segnali che questa visione del Pdl, e della sua personale leadership, non erano più indiscusse. Ma se tutto questo è vero, allora è impensabile che Berlusconi accetti ora, per i prossimi mesi, un processo di logoramento costante del governo, affidato ormai ad una maggioranza sempre più incerta, e perciò costretto, se vuole sopravvivere, a negoziare su ogni questione politicamente rilevante: con Tremonti e la Lega, per ciò che attiene al rigore economico e al federalismo; con Fini e i finiani, per ciò che attiene a legalità e coesione nazionale; con il Colle e la Consulta, per i profili di costituzionalità delle leggi sulla giustizia e così via. Nonostante la grande incognita della Lega, è verosimile che Berlusconi abbia deciso di far saltare tutto, andando alla resa dei conti, prima che una possibile alternativa abbia il tempo di materializzarsi, o che la fronda interna si allarghi. Forse garantendo alla Lega l’attuazione del federalismo, dunque promettendo di attendere la primavera – sapendo però bene che essa appare al momento davvero lontana… Non è naturalmente detto che il piano riesca. Casini ha insinuato più volte che, se cade il governo, un altro si trova in dieci minuti. Il ribaltone non è però certo lo scenario favorito di chi crede nel bipolarismo, e solo circostanza particolari e gravi, per ora non visibili, potrebbero indurre ad appoggiarlo. Il nuovo gruppo parlamentare: “Futuro e libertà per l’Italia”, ha in tal senso giustamente garantito lealtà al governo che gli italiani hanno votato, almeno fino a quando il governo resterà fedele a se stesso e al programma per il quale è stato votato. Il battesimo politico del nuovo partito non può certo essere il ribaltone. Inizia dunque una difficile partita di nervi, in cui occorrerà stare attenti a non offrire pretesti di rottura al governo, specie su punti qualificanti del programma, ma in cui al tempo stesso sarà necessario difendere le ragioni che ci hanno indotti a questa difficile scelta politica, e lavorare alla costruzione di un diverso scenario, che muova dal presupposto che il ciclo politico berlusconiano è giunto alla fine. La chiave di volta di questo difficile esercizio consiste nel sottolineare le promesse non mantenute di Berlusconi: è lui, in fondo, a non aver rispettato il programma originario del centro-destra. E’ ormai chiaro, dopo quindici anni, che, con Berlusconi, le grandi riforme di cui il paese ha bisogno non saranno attuate mai. Occorre tuttavia essere consapevoli che la fine del berlusconismo potrà essere sancita solo dal responso delle urne. Berlusconi deve essere battuto sul campo di battaglia elettorale, e non attraverso giochi di palazzo. E sebbene non pochi sostengano il contrario, non possiamo dubitare che nel prossimo confronto elettorale Berlusconi e Fini saranno sui due lati opposti della barricata: non si capisce come chi è stato espulso dal Pdl per incompatibilità con i suoi principi, possa poi tornare ad esserne un alleato elettorale. La rottura, come l’ha voluta Berlusconi, è definitiva ed insanabile. Il ruolo storico di Fini è ora quello di porre fine al ciclo politico berlusconiano, aprendo una fase che possa condurre davvero alla Seconda Repubblica, promessa non mantenuta del berlusconismo. Occorre dunque lavorare alla costruzione di un nuovo orizzonte, che guardi oltre Berlusconi. Il che significa costruire un nuovo soggetto politico, ma anche una nuova coalizione. In tal senso, quelle convergenze che sarebbero sleali in uno scenario di ribaltone, potrebbero indicare una ragionevole fase di transizione politica se suffragate dal responso elettorale. E’ in altri termini possibile che la chiusura di questa fase comunque storica della vita politica italiana richieda un passaggio intermedio, che veda unite le forze democratiche e riformiste in un ‘patto repubblicano’, che assicuri una transizione non convulsa ad una nuova fase politica. L’architrave di questo patto repubblicano dovrebbe essere il progetto di una ‘legislatura costituente’, in cui forze anche diverse, nel perimetro del riformismo democratico, concorrano a ridisegnare quelle istituzioni, che Berlusconi continua a promettere – o minacciare – di cambiare, da quindici anni, senza esito alcuno. Una riforma organica, che abbia al suo centro l’elezione diretta del capo dello Stato, secondo il modello francese, come necessario riequilibrio del federalismo, e che naturalmente contempli una legge elettorale a tale modello conforme, ovvero maggioritaria a due turni. E’ un’ipotesi su cui, nel tempo, persino importanti leader della sinistra democratica si erano mostrati disponibili. Il varo di queste grandi riforme garantirebbe la nascita effettiva di quella ‘Seconda Repubblica’, che Berlusconi non è riuscito a partorire, e segnerebbe, con la forza di una cesura storica, la fine del ciclo politico berlusconiano. E’ questo il terreno della sfida. Fini ha varcato il Rubicone, e ora lo attende la battaglia politica più importante della sua vita.